venerdì 30 gennaio 2009

I rampanti anni '80

Nelle scorse 2 settimane, ci siamo occupati della ''italo-disco'' ed abbiamo introdotto il discorso sulla musica degli anni '80 in Italia. Torniamo per un momento a parlare della scena internazionale, restando sempre e comunque nel 1983.
I riflettori si accendono ed a fare il suo ingresso sul palco è lei, la cantante statunitense, che diede il la alla disco music: Gloria Fowles, meglio conosciuta come Gloria Gaynor (suo nome d'arte).
Starete già immaginando una ragazza volteggiare sui suoi pattini, fasciata in uno strettissimo paio di fuseaux e toppino di pailettes, che ritrova la forza dopo la rottura con il suo partner, gridando a gran voce ''I will survive'', ma ... vi sbagliate! La canzone di cui parleremo è un'altra: I am what I am, che dona un pizzico di estemporanea popolarità alla cantante, proprio quando inizia a perderne per il declino della disco music. Ma vediamo come nasce il pezzo. Nel 1983, Jerry Herman (uomo dichiaratamente gay) compone la musica per il musical La cage aux folles, opera umoristica sul tema dell'omosessualità, da cui è anche tratto il film Il vizietto. Interpretato nel numero finale del primo atto dal personaggio di Albin Mougeotte, star-attraction nonchè drag queen di un eccentrico night a Saint-Tropez, fu nuovamente registrato come singolo dalla disco diva Gloria Gaynor, che divenne così (anche dopo il successo planetario di I will survive) un'icona del mondo gay. Il testo è una celebrazione della diversità e non a caso è tutt'oggi considerato ufficiosamente un inno per la comunità LGBT (o gay). La canzone invita a vivere la propria vita a dispetto di quello che gli altri potrebbero aspettarsi da noi, senza quindi doversi scusare per ciò che siamo. La diversità viene intesa come una ricchezza e non un handicap. Ma proviamo ad analizzare più dettagliatamente alcune parti del testo.

...

It's my world
Questo è il mio mondo,
That I want to have a little pride in
Quello di cui voglio avere un po' di orgoglio
My world
Il mio mondo
And it's not a place I have to hide in
e non un posto in cui debba nascondermi
Life's not worth a dam
La vita non vale nulla
Till you can say
fino a che non puoi dire
I am what I am
Io sono quello che sono

I am what I am
Io sono quello che sono
I don't want praise I don't want pity
non voglio lodi nè voglio pietà
I bang my own drum
Suono il mio personale tamburo
Some think it's noise I think it's pretty
Alcuni pensano sia rumore, Io penso sia carino
And so what if I love each sparkle and each bangle
E allora cosa c'è se amo ogni lustrino e braccialetto
Why not see things from a different angle
Perchè non vedere le cose da un'altra angolazione
Your life is a shame
La tua vita è una vergogna
Till you can shout out I am what I am
Fin quando non puoi urlare Io sono quello che sono

I am what I am
Io sono quello che sono
And what I am needs no excuses
E cosa sono non necessita giustificazioni
I deal my own deck
Gestisco il mio mazzo di carte
Sometimes the aces sometimes the deuces
Qualche volta gli assi, altre i due
It's one life and there's no return and no deposit
C'è una vita sola e non c'è rimborso nè cauzione
One life so it's time to open up your closet
Una vita, per cui è ora di aprire l'armadio
Life's not worth a dam till you can shout out
La vita nn vale nulla fino a che non puoi urlare
I am what I am
Io sono quel che sono.

Altre piccole curiosità inerenti il testo: nella seconda strofa, viene usata la metafora del tamburo, che si riferisce ad un'espressione idiomatica del mondo anglosassone, seconda la quale l'omosessualità sia una marcia suonata al ritmo di un altro tamburo (diverso da quello che la maggioranza sente). Anche l'invito ad uscire dall'armadio, inteso come nascondiglio, ci riconduce ad un'altra espressione anglosassone, oggi diffusa in tutto il mondo: ''coming out'', ovvero dichiarare apertamente e deliberatamente la propria omosessualità. La canzone tratta diverse tematiche care al mondo omosessuale e vogliamo citarne alcune: avere una forte autostima, celebrare senza vergogna la propria sessualità, non dover ricercare delle giustificazioni, ma semplicemente l'accettazione e la voglia di metter da parte tutti i problemi e festeggiare insieme, perchè nn si è soli. Questa volta, il mondo degli 80's si è vestito di lustrini ed ha calcato le scene di un musical. Dove verremo trasportati la prossima settimana? Scopritelo sulle frequenze dello Shout.
Giulia.

domenica 25 gennaio 2009

I rampanti anni '80

''Remember that piano, so delightful, unusual ... ''. E voi? Ricordate questo pezzo? Siamo tornati ad assaporare la spensieratezza degli anni '80 proprio sulle note di I like Chopin (1983). La scorsa settimana, avevamo parlato di due personaggi: Pierluigi Giombini e Paul Mazzolini. Ebbene, in questo caso mentre il primo si è occupato dell'arrangiamento della canzone, voce e testi sono di Gazebo (nome d'arte utilizzato dalla nostra vecchia conoscenza Paul Mazzolini). Lorenzo Meinardi ha curato invece i cori in falsetto. Il brano parla della relazione paradossale tra Chopin e la scrittrice francese George Sand (suo pseudonimo maschile). Ogni frase, così come ogni parola, dà vita ad un'immagine impressionista, anche se estrapolata dal suo contesto originale. Per quanto riguarda il video invece, ha una storia indipendente dal testo. Si presenta come una cornice estemporanea, nella quale però vengono mantenuti gli elementi dell'ambiguità e del paradosso. Questo brano icona degli anni '80 riuscì a scalare tutte le classifiche europee. Ma la fama ed il successo portarono Paul Mazzolini ad esser conosciuto anche a Singapore ed Hong Kong, dove vinse dischi d'oro e di platino. Oggi, Gazebo è ritenuto una leggenda tra i fans dell'italo-disco, sebbene abbia cercato in tutti i modi di sfuggire da ogni tipo di classificazione ed omologazione. Ma vediamo insieme altre piccole curiosità. L'artista imparò a suonare la chitarra all'età di 10 anni per impressionare una ragazza della sua classe. La melodia iniziale di I like Chopin è suonata con il pianoforte, ma questo nn deve trarre in inganno, perchè nn è certo una delle composizioni del famoso pianista polacco. Anche questo brano, gettonatissimo nei juke-box, lo ritroviamo come colonna sonora nel film del 1983 dei fratelli Vanzina. Il mondo rosa shocking degli anni '80 vi dà appuntamento al prossimo giovedì sulle frequenze dello Shout.
Giulia.

Ready Steady Rock! presenta Kings Of Leon



Questa settimana ci occupiamo dei Kings of Leon, gruppo americano di Nashville formato dai 3 fratelli Followill e l'aggiunta del cugino. La band viene formata nel 2000 e bisogna aspettare il 2003 per l'uscita del loro primo disco Youth & Young Manhood: per loro arriva un incredibile successo di pubblico, soprattutto in Gran Bretagna, trainato dal singolo Molly's Chambers. Passa nemmeno un anno e i Kings of Leon si fanno rivedere nei negozi musicali con Aha Shake Hertbreak che segna la consacrazione della band. Il loro stile finora è chiaramente influenzato dal southern rock (ricordiamo che Nashville è la capitale del country) con influssi garage. Apprezzati dalla stampa di settore, anche se vengono identificati come band da 2/3 singoli per disco e per il resto canzoni di basso livello. Segue un periodo di tour in compagnia di gente come The Strokes, Pearl Jam e Bob Dylan.
Per avere notizie sul fronte discografico bisogna aspettare il 2007 quando esce Because of the Times, seguito l'anno successivo da Only by the Night che rappresenta la loro ultima fatica in studio;. Questi due album evidenziano un cambio deciso rispetto ai predecessori: la voce di Caleb, che nei primi due sembrava quasi un lamento lanciato in maniera istintiva, è adesso più calibrata e calda; cercano di allontanarsi dichiaratamente dalle influenze country rock, creando toni più cupi e intimisti, rendendo i dischi più costruiti rispetto alle macchine da singoli che erano stati i primi due cd.
Curiosità: nel settembre del 2008 arrivano ad avere contemporaneamente tutti e 4 gli album contemporaneamente nella top 50 australiana.

Le interviste dello Shout: Emanuel Mian e Giovanni Fradella


In questo secondo contributo audio ascolterete la voce di due ragazzi Giovanni Fradella e Emanuel Mian, entrambi "catturati" dallo Shout grazie alla potenza del web. Entrambi in modo diverso si occupano della lotta all'anoressia. Con il mio staff abbiamo deciso di trattare l'argomento anoressia perché ho sempre pensato che di anoressia si continua a soffrire e sopratutto si continua a morire nel più totale silenzio. Sentiamo parlare di anoressia soltanto nel momento in cui sul suo spietato taccuino vengono annoverati i nomi di qualche vip o di qualche modella; ma l'anoressia non è solo moda, l'anoressia non è un male mediatico, l'anoressia è un serio problema. Emanuel è uno psicologo che si occupa di ricerca nel campo dei disturbi dell'immagine corporea in anoressia e bulimia nervosa ed è il Responsabile dell'Unita' per i Disturbi del Comportamento Alimentare presso la Clinica Salus Alpe Adria.
Giovanni invece lotta costantemente contro i siti pro-ana grazie anche all'aiuto di tutti coloro che orbitano nel web e che gli segnalano questi siti. Quasi quotidianamente Giovanni e il suo staff riescono a chiudere almeno un sito, ma per uno chiuso altri mille se ne aprono e la lotta risulterà vincente anche grazie al vostro aiuto. Giovanni ed Emanuel, due ragazzi che con il loro impegno quotidiano riescono ad aiutare molti ragazzi e sopratutto a salvare molte vite, lo fanno in silenzio e sottovoce, e questo nobilita il loro impegno. Grazie ragazzi
SKIZZO_ICE


Visitate il sito http://www.anoressiabulimia.it

Le interviste dello Shout: Mario Congiusta

Ciao a tutti sono skizzo_ice e mi sono permesso di rubare un po' di spazio ai miei splendidi collaboratori che rendono questo blog ogni settimana degno di essere visitato. Sono qui per presentare i contributi audio che abbiamo registrato durante le ultime due dirette.
In questo primo intervento ascolterete la voce di Mario Congiusta.
Mario ci racconta come a distanza di quasi 4 anni da quel maggio 2005 sia ancora in atto la sua personalissima battaglia contro la mafia, contro coloro che hanno brutalmente ucciso un caro amico, un ragazzo amato e stimato da tutti, Gianluca Congiusta, suo figlio. Fui io stesso il 9 gennaio a richiedere espressamente la presenza di Mario Congiusta all'interno del nostro programma radiofonico, perché la sua voce, il suo grido non rimanesse inascoltato, ma potesse essere rinvigorito in modo da offrire a tutti noi la possibilità di capire che al mondo esistono due nette divisioni tra bene e male e come lui stesso afferma, bisogna decidere da che parte stare. Lo Shout si schiera nettamente dalla parte di Mario e di tutte quelle persone che vivono nel tormento per aver perso un proprio caro per mano della mafia. Ringrazio ancora una volta la famiglia Congiusta per tutto quello che fa per la comunità calabrese, portando avanti con tenacia e coraggio la lotta alla mafia cercando di convertire i giovani al bene, perché mafia è sinonimo di ignoranza e solo con il sapere si può sperare in un futuro migliore e tranquillo per tutti. Skizzo_ice

Visitate il sito http://www.gianlucacongiusta.org

sabato 24 gennaio 2009

Voglia di pioggia

SIDUN

SIDUN è uno dei brani più suggestivi e pregni di poesia dell’album Creuza de ma, che “in direzione ostinata e contraria” irrompe nell’appiattimento discografico che risponde unicamente alle esigenze di mercato e della moda. Irrompe come un vento che soffia dal mare, che viene da lontano ma che è a noi vicino come il Mediterraneo.
Come dire il Mediterraneo? Come farlo parlare? In arabo, in greco in turco. De Andrè sceglie il genovese e sceglie bene. Un dialetto, che come come tutti i dialetti è una lingua, fatta di popolo e di popoli, di commercio e di ospitalità, una finestra spalancata sul mondo. Il dialetto che è anche la faccia linguistica delle minoranze, tanto care a De Andrè, parlato da meno persone ma non per questo chiuso, anzi vivo e aperto ad accogliere influenze linguistiche di altra gente. E chi è la nave che trasporta il carico ricco dei linguaggi? L’uomo, che nel caso specifico è il marinaio o il mercante che dal mare torna con le sue attese, sofferenze, passioni e con le sue parole di altri popoli. Una grande forma di ospitalità linguistica.
Allora Fabrizio De Andrè si fa marinaio in Creuza de ma e ci racconta il suo viaggio, musicale e linguistico, nel Mediterraneo. Da qui ci è data la possibilità di capire come l’identità di un popolo o di un uomo si costituisce sempre a partire dall’altro, che per questo va ospitato, accolto e non scacciato via. Creuza de ma va in questa direzione.
Con SIDUN si ritorna nuovamente alla guerra e alla questione attualissima del medioriente. Sidun, traduzione genovese di Sidone città libanese che fu colpita nel 1981 dalle truppe israeliane di Sharon.
Il pezzo ha inizio con la voce di Reagan in sottofondo seguita dal cigolare metallico di un carroarmato, legittimazione della forza come strumento di autodeterminazione, espressione mortificante di un potere irrazionale che si pone al di sopra di ogni principio di umanità.
Ma in SIDUN c'è ancora di più di un decadimento dei valori umani: l'individuo è dipinto in forme puramente istintuali ("gli occhi dei soldati cani arrabbiati con la schiuma alla bocca cacciatori di agnelli a inseguire la gente come selvaggina finché il sangue selvatico non gli ha spento la voglia") e la civiltà si sgretola in una condizione di assenza di ragione, tornando ad uno stato di natura in cui prevalgono i meccanismi della forza. Il potere è regista lontano e distratto, nei suoi meccanismi rituali privi di senso diventa un'eco che apre la dolorosa melodia, con irreale macchinalità, ad illuminare di una luce sinistra e orrorifica la sua bandiera lorda di sangue. Pare rispondere soltanto alla logica insensata della autoperpetuazione e della violenza autolegittimante, agitando i suoi burattini assetati di sangue, che si aggiarno senz'anima nella folla che, folle di paura, si disperde nel caldo secco, sicura della morte nel terrore del suo crepuscolo, fino a quando ogni cosa brucia e si perde nella polvere. Sullo sfondo lo spettro della Shoah.
Assenza di ragione e di pietà proprio laddove nel Libano, l'antica Fenicia, come ebbe a dire lo stesso Fabrizio De Andrè, si formarono i germi della cultura occidentale e dove, aggiungiamo noi, all'ombra dei luoghi santi si è formata la religione della pietà e della carità. In mezzo a questo ribaltamento dei valori, il lamento di un padre che ha visto la morte violenta del figlio "labbra grasse al sole", sua unica ricchezza in una condizione di generalizzata povertà materiale; "tumore dolce benigno di tua madre" progetto di vita e di amore nonostante questa stessa condizione.
Cosa ci lascia allora in eredità la guerra se i figli sono uccisi? Un ricordo bagnato di disincanto e dolore, le lacrime di un padre senza più vita, vivo come i morti, mentre i suoi cari morti rivivono in lui di luce fioca, nella desolazione di una terra di cui rimarranno memoria e cenere; azzeramento di ogni progettualità: "Poichè di nostro dalla pianura al molo non possa crescere albero nè spiga, nè figlio"; un saluto amaro che è consapevole negazione al presente della spendibilità di ogni forma di unione: "ciao bambino mio l'eredità è nascosta in questa città che brucia e in questa luce di fuoco per la tua piccola morte".
Peppe H., Peppe D., Danilo

mercoledì 21 gennaio 2009

Voglia di pioggia

Viaggio nel mondo di Fabrizio De Andrè "Voglia di pioggia" il nome della nostra rubrica vuole essere il senso di questo viaggio tra le canzoni di Fabrizio De Andrè. Un viaggio nel suo mondo attraverso i nostri occhi che desidera quindi uno spazio di confronto in questo blog. Pioggia che di una terra è preambolo di fecondità e nel deserto è un miraggio, un’àncora, un anelito di vita. Pioggia che a volte è "acqua che non s'aspetta altro che benedetta". Pioggia che fa e disfa, uomo che crea e distrugge. La nostra voglia di pioggia si veste di attesa. Noi però la invocheremo, per poi lasciarla cadere a spazzar via il deserto.La canzone che abbiamo deciso di proporvi questa settimana è Fiume Sand Creek, tratta dall'album INDIANO (1981). De Andrè ricorda una vicenda realmente accaduta: il massacro di una comunità Cheyenne stanziatasi lungo il fiume Sand Creek, da parte del generale americano Chewington.La vicenda è raccontata dal punto di vista di uno dei superstiti, un bambino, in una dimensione che ondeggia tra l'onirico e il reale, tanto più amplificata da un ritmo reiterato quasi ipnoticamente, che introduce quella indecifrabile "musica" infernale e notturna di cavalieri di morte, sempre più vicina. Guida quelle schiere un generale non ancora uomo, che gioca a decretare l'estinzione di un mondo ancestrale, quello indiano, e per estensione anche quello di ogni particolarismo regionale. "Figlio di un temporale" lo definisce De Andrè, evocando una potenza di distruzione che ha origine dal cielo e dalle nuvole, spesso additate come simboli di un'autorità poco incline alla pietas. Il bambino supersite è diventato adulto troppo presto: la morte e la violenza rimosse dalla coscenza infantile e ricacciate dal nonno (quasi un nume tutelare) in uno stato onirico, emergono prima in precoscienza attraverso "il fiorire dell'albero della neve, ma di stelle di sangue", una macchia in un mondo ancora bianco, quindi diventa presa di coscienza definitiva. La reazione è una richiesta di risarcimento al cielo o un tentativo di rivolta contro il vento, ma il dato di realtà parla di un massacro insensato. La vicenda di Sand Creek conferma quanto già espresso nella Guerra di Piero: si decreta la morte della diversità quando all'unicità nn si riconosce un valore determinativo. Senza pietà e senza ragione, nel sangue e nella pioggia si celebra l'abdicazione dell'uomo dalla sua umanità. In attesa della fine, rimane il placido conforto senza speranza, la voce calda di un vecchio indiano, che negandola annuncia la morte, invitandoci a chiudere gli occhi.
Giuseppe, Peppe e Danilo.

martedì 20 gennaio 2009

I rampanti anni '80

Vi siete dimenticati di sincronizzare i vostri pop swatch ed avete perso la rubrica anni '80 della scorsa settimana? Ecco per i più distratti, ma anche per i fedelissimi, un breve riassunto.
Il brano che ci ha riportati tra gli yuppie ed i paninari dell'epoca è Dolce Vita di Fabrizio Roscioli, in arte Ryan Paris, del 1983.
Ma scopriamo insieme come sempre qualche curiosità.
Il titolo prende ispirazione dall'omonimo film del '60 di Federico Fellini ed è stato la colonna sonora di un cult del cinema italiano, Vacanze di Natale '83.
Il pezzo fu composto, prodotto ed arrangiato dal produttore Pierluigi Giombini e da Paul Mazzolini e riscosse un enorme successo in tutta Europa, addirittura anche nel Regno Unito, dove raggiunse la quinta posizione nella classifica dei singoli. Tuttavia va anche detto che Ryan Paris può esser definito ''one-hit-wonder'', in quanto conosciuto solo per questo singolo.
Dolce Vita rientra nel filone oggi noto come ''italo-disco'' (termine coniato dal produttore e discografico tedesco Bernhard Mikulski per indicare le produzioni disco music italiane, cariche di influenze punk, new romantic e new wave).
Cotonate i vostri capelli, indossate i vostri Closed e magari anche il Moncler ... iniziate a prepararvi per il prossimo appuntamento con gli anni'80 allo Shout.
Giulia.

Ready Steady Rock! presenta Little Joy


Questa settimana nella rubrica musicale proponiamo i Little Joy composti da Rodrigo Amarante, membro dei brasiliani Los Hermanos, Fabrizio Moretti (batterista degli Strokes) e la polistrumentista Binki Shapiro. Amarante e Moretti si incontrano per la prima volta ad un festival a Lisbona nel 2007 dove entrambi si esibivano con le rispettive band. Ad un anno di distanza si rincontrano a Los Angeles (Amarante lavora ad un progetto con Devendra Banhart), a loro si unisce Binki Shapiro e i tre cominciano a lavorare su delle tracce che poi andranno a formare l'album omonimo che esce a novembre del 2008.
Questa disco si rivela una piccola perla discografica: le sonorità sono abbastanza distanti dai ritmi serrati e dal rock un po' saccente che tanto amiamo degli Strokes, sia da quello più leggiadro
dei Los Hermanos. Gli 11 pezzi alternano toni spensierati e nostalgici, con un sottofondo di melodie rilassanti e scacciapensieri che ci rimandano ai suoni dal gusto retro degli anni '60 e alla musica brasiliana ottenute grazie alla grande varietà di strumenti utilizzati, dove le due voci, quella decisa di Amarante unita a quella sensuale di Binki Shapiro, si inseguono con spontaneità e semplicità,creando un'atmosfera aggregativa.
La critica ha pienamente promosso questo album che supera appena i 30 minuti di ascolto, perché in un panorama indie come quello attuale, questo disco è stato sì un azzardo, ma è riuscito a superare le aspettative; una volta ascoltati, non si può non dipendere da questa piccola gioia, e
godersela appieno anche solo per mezz'ora.
Curiosità: il nome della band deriva dal cocktail bar che è situato nelle vicinanze dello studio di registrazione.
Sergio.

lunedì 19 gennaio 2009

Shoutblog

Benvenuti amici dello Shout...Ebbene sì, siamo sbarcati anche qui: d'ora in poi lo Shout avrà un blog dove io insieme a tutti i miei collaboratori posteremo quello di cui si è parlato il giovedì nella diretta. Ci sarà Domenico con la sua rubrica del cinema, Sergio ci terrà aggiornati con la sua rubrica musicale, la Lussy ci svelerà tante curiosità sul Giappone, Giulia ci intratterrà ricordandoci i rampanti anni '80 e la new entry Giuseppe celebrerà il suo tributo a De Andrè.
Questo spazio darà la possibilità a chi non avesse ascoltato la trasmissione in settimana di non perdersi nulla degli argomenti trattati, per chi ci avesse sentiti e anche per noi sarà un ulteriore spazio di approfondimento.....perciò mi raccomando, commentate numerosi!
Un saluto affettuoso a tutti dal vostro Skizzo_ice