venerdì 6 febbraio 2009

Voglia di pioggia

La Canzone del Padre

Dal mediterraneo di Creuza de ma, a ritroso, andiamo al 1973, anno in cui De Andrè pubblica il concept album "Storia di un impiegato". Erano passati cinque anni dalle proteste del '68. Qualcuno all'epoca della contestazione criticò De Andrè per il fatto di essere rimasto silente e di non aver trattato nulla di quell'anno caldo. In realtà le critiche erano assolutamente insensate, visto che proprio in quegli anni esce "La buona novella" che di rivoluzionario ha molto: l'amore, quello tutto umano, come strumento di sviluppo sociale. In ogni caso nel '73 scrive "Storia di un impiegato" riprendendo anche la questione del '68. "L'idea, dice De Andrè, era quella di dare del Sessantotto una lettura poetica, ne venne fuori però un disco politico". Questo, non piaceva tanto a De Andrè, sempre schivo nei confronti dei movimenti politici e delle organizzazioni allargate dove cresce a volte il germe della violenza.
Protagonista del disco è un impiegato. "Un colletto bianco", dice De Andrè, che non appartiene a nessuna classe, non al capitalismo non al proletariato. In una delle sue giornate uguali ascolta una canzone ("La canzone del Maggio") che lo riporta indietro agli anni delle contestazioni studentesche del Sessantotto. In quel momento il nostro impiegato si riconosce nei panni che da sempre vestiva, sporchi ormai di obbedienza e sottomissione, fradici degli ordini provenienti dai vertici della scala sociale. Si chiede: "dov'ero io in quegli anni?" . Dice a sè: " (...) e io contavo i denti ai francobolli dicevo "grazie a dio" "buon natale"mi sentivo normale eppure i miei trent'anni erano pochi più dei loro ma non importa adesso torno al lavoro". Il nostro impiegato si sentiva normale con la sua paura di non tornare a lavoro. Ascoltando la Canzone del Maggio, però, qualcosa nella sua testa era scoppiata, la "Bomba in testa". Inizia così a sognare. Sogna di autoinvitarsi a un "Ballo mascherato", dove ci sono tutte le facce del potere a cominciare dal padre e lì con un atto individualistico sogna di portare una bomba e far fuori tutti. Fa fuori tutti, tutti i vecchi del potere, compreso il padre.
La Canzone del padre costituisce la chiave di volta dell'intero progetto di "Storia di un Impiegato". Il nostro protagonista é inquieto. Ha fino ad oggi fatto una scelta di partecipazione di una collettività eterodiretta: è un impiegato e "casa e famiglia danno rendite sicure". In sogno avviene l'epifania di quanto lo tormenta: è il Padre, il vecchio regime, l'autorità e per estensione il potere. Come fare allora ad autodeterminarsi? Il pensiero primario è l'edipica uccisione del padre e l'autoinvestitura sul trono del potere da cui governare i più lontani dalle logiche del comando (le piccole barche dirigile al fiume) e quanti già se ne cibano ("le più grandi sanno già dove andare"). Ma è una mera illiusione, è "un sogno che non fa svegliare": tutto ciò corrisponde alla esigenza di autoperpetuazione del potere. C'è una ragione superiore che risponde alle sue regole e che fa degli individui strumenti utili a che si garantisca questa continuità. Per il nostro protragonista tuttavia la tentazione è forte. C'è un vuoto di potere e non vorrebbe finire come il compagno Berto, ancora non staccatosi dal legame primario con la madre. Escluso dalla logica del potere Berto rimane ai margini della società borghese e tanto più si tiene lontano da un confronto con Dio, il potere, tanto più emerge il senso della sua alienazione, cioè la condizione di individuo agìto, di uno che si "lascia piovere addosso". Allora scattano gli incubi della degenerazione della vita coniugale ridotta ad una pratica d'ufficio ("si discute l'amore") e il fallimento stesso del ruolo paterno. Tutto questo non è sostenibile dal nostro protagonista: bisogna fare nuovamente centro su se stessi ed è una dichiarazione di guerra ai palazzi del potere che avrà degli esiti esplosivi.
Peppe D., Peppe H.

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