venerdì 27 febbraio 2009

I rampanti anni '80

Le ultime settimane hanno visto protagoniste della rubrica anni '80 alcune tra le più note voci femminili. Abbiamo parlato di italo-disco e di pop ed ora non possiamo far altro che parlare di rock.
Nel 1984, esce in Italia il sesto disco, nonchè la consacrazione, di una giovane cantautrice toscana. Di chi stiamo parlando? Ovviamente, di Gianna Nannini e del suo album Puzzle, il quale resiste per ben sei mesi fra i primi dieci album più venduti della hit-parade. Ma come se non bastasse, il disco conquista anche i primi posti delle chart in Germania, Austria e Svizzera. Fotoromanza è il brano trainante e di grande presa presso il pubblico televisivo e radiofonico. Si parla di grandi amori soffocanti come camere a gas o scioccanti come finte sul ring. Una miscela di melodia, hard rock ed elettronica, che ha portato la critica ad accusare la cantante di una sorta di tradimento delle sue origini rock, per la banalità e commercialità del pezzo. Ad aiutare l'ascesa ed il successo gioca un ruolo importante anche il videoclip, che vede la regia di un mostro del cinema italiano, Michelangelo Antonioni, il quale riproduce con precisione le immagini descritte nei versi della canzone. Il brano porterà la Nannini alla vittoria del Festivalbar, di Vota la voce e di un Telegatto d'oro (per il miglior testo dell'anno).
Se la sera non esci, ti prepari un panino mentre senti lo Shout anche tu? ... Questo amore è una camera a gas, è un palazzo che brucia in città, questo amore è una lama sottile, è una scena al rallentatore ... Gli anni '80 vi aspettano come sempre sulle frequenze dello Shout!
Giulia.


domenica 22 febbraio 2009

Voglia di pioggia

Nella mia ora di libertà


Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria. – Per forza, disse. – Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere [c] causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano. – È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà cosí. – E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro? (...) Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse piú acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e piú [d] rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? (...) Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole? – Sí, certo, rispose. – E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima [517 a] che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo? – Certamente, rispose. (Platone - La Repubblica, Libro VII: Il mito della caverna).


A questo punto il racconto di "Storia di un impiegato" ci accompagna al suo rossore conclusivo degno di un tramonto, che se da un lato "spinge il sole al suicidio dietro i monti", dall’altro indica un nuovo sorgere che verrà, una nuova consapevolezza, la nascita di un pensiero nuovo. Una volta avviatosi verso il parlamento sulla via della realtà e non più del sogno, come abbiamo sentito nel Bombarolo, all’estasi e al riso di attesa dell’esplosione che doveva provare il suo talento, segue il fallimento, il pianto, un torrente di parole. La sua bomba rotola verso un chiosco di giornali. Fallisce il suo atto individualistico e pirotecnico. Viene arrestato, scrive dal carcere una struggente e malinconica lettera alla sua compagna ("Verranno a chiederti del nostro amore"), e proprio qui nel carcere matura la sua crescita. Qui, dove "tutti sono vestiti uguali", percepisce una dimensione che gli era lontana e preclusa prima, la collettività, la vita insieme. All’esito narrativo naturalmente si affianca un esito semantico, significativo. Il nostro impiegato capisce che se un modo c’è per lottare contro le ingiustizie sociali, le disuguaglianze, le ipocrisie del potere, questo passa dalla collettività sociale. La lotta si combatte insieme, l’individualismo fallisce e assume le sembianze di una personale sete di potere.
La canzone "Nella mia ora di libertà" disegna la fase finale del percorso di consapevolezza dell’impiegato. Si parte ancora dall'idea di una separazione sociale. La società borghese ha condannato il bombarolo, autocondannandosi tuttavia ad agire come marionetta del potere. Nei confronti della società, la posizione del condannato è ancora però quella delle ragioni del giusto e del torto: l’impiegato ancora indugia nella sua radicale chiusura, in tal senso, potremmo dire, è ancora bombarolo, non rinuncia al suo individualismo, alla sua opposizione solitaria e disperata, che lo porta a non voler condividere nemmeno l’aria con i secondini, strumenti dell’odiato potere. La premessa di aggancio al bombarolo, a questo punto, si sviluppa nel senso, prima accennato, di riscoperta della collettività.
Soltanto sperimentando la “ginnastica dell'obbedienza”, emergendo fino a toccare il linguaggio del potere e quindi distaccandosene razionalmente, una volta compreso che “non esistono poteri buoni”, che non è possibile di sapere "qual'è il crimine giusto per non passare per criminali", cioé che non é possibile rispondere alla ragione individualistica del potere con lo stesso linguaggio e che forse le ragioni umane vanno oltre l'aprioristico decreto della giustezza, una volta compreso che non ci sono soluzioni al problema se non la consapevolezza della relatività etica, che corrisponde alle ragioni dei singoli individui, é possibile rientrare nella collettività da individuo e raccogliere i frammenti sparsi del mosaico delle ragioni individuali, giungendo ad una forma alta di compassione egalitaria, che sposta su un piano altro il problema individualistico ma gerarchico del potere. Il tutto può essere illustrato seguendo il percorso della comprensione, che alfine si realizza. L’impiegato, dapprima bombarolo, vive e soffre nella incomprensione: incomprensione degli altri, che tende a qualificare come altri da sé, inaccessibili ed inavvicinabili, ignavi burattini nel terrore o carcerieri nella prigione della convenzione e della condanna borghese; incomprensione di se stesso, crisi di ruolo e prospettiva che condanna alla solitudine e all’empito (anzitutto) autodistruttivo; incomprensione da parte di una società abituata a rifugiarsi nell’etichettamento come superficiale scorciatoia di valutazione, nella consolazione del facile giudizio di valore che discrimina buono e cattivo (“tante le grinte, le ghigne, i musi”), a seconda del livello di integrazione dell’individuo nella costruzione di sistema, indipendentemente dai suoi valori, dai suoi bisogni (“ci hanno insegnato la meraviglia/verso la gente che ruba il pane”), sprezzante finanche dei suoi affetti, come nella scena dell’amata la quale “si suggerisce” “quel che dirà di me alla gente” che, armata di incrollabile pregiudizio, le chiederà conto del fattaccio. È l’ultimo stadio di una (in)coscienza sociale decrepita, fuorviata dalla costrizione, modellata dalla convenzione, condannata per questo all’incomprensione dis-umana.
Il passaggio decisivo, l’illuminazione che consente di affrancarsi dalla trappola di un individualismo sterile che è soprattutto difesa di se stessi dinanzi all’ignoto insensato, è la compassione. La condivisione del dolore degli ultimi e il transito nella sofferenza dei dimenticati, tante volte raccontati e cantati da FDA, rappresentano il luogo in cui l’afflato umanitario si veste di contenuto e consapevolezza più propriamente politici. In questo insegnamento finale si completa il passaggio dall’individuo alla stretta collettività, contrapposta alla fittizia società degli individui etero-diretti, contrapposta anzitutto perché si fonda, come detto, sulla comprensione del dolore. Ed è questo il momento in cui nel testo l'IO narrante lascia il posto al NOI. In definitiva, potremmo dire, non è possibile affrancarsi dal sistema-potere se si tenta di combatterlo dall'interno e con uguali mezzi. Occorre creare un sistema alternativo. La costruzione del potere crolla su se stessa nel momento in cui si riparte dal basso, dalle istanze degli ultimi, che individualmente si riuniscono in una ragione collettiva.
La conclusione é ambivalente: da un lato la speranza nella possibità di un rinnovamento sociale; dall'altro la consapevolezza che questo processo é lento e sofferto e che la lotta al potere costringe tutti a rientrare tra le sbarre della prigione, dove si forma la ragione collettiva. De Andrè si rivolge infatti alla fine alla società tutta ed indica in questo l'unico strumento di educazione sociale. In particolare si rivolge agli "ignavi" borghesi che per quanto si decretano assolti, sono ugualmente responsabili della perpetuazione delle ragioni del potere . La chiosa é la redenzione al rovescio. I secondini sono trascinati in prigione perchè nell'ignavia anche loro coinvolti. Compresa la condizione di generale prigionia, è proprio dalla prigione che maturano i germi della ragione collettiva ed é per questo che sono i borghesi principalmente i destinatari del messaggio di una educazione sociale di stampo egalitario, in quanto più profondamente individualisti.
Dice Fabrizio De andre: “la conclusione della storia non era amara anzi positiva . E riguarda me, nel senso che io non credo più all’individualismo, ma spero solo nel collettivismo”. Aggiunge ironicamente: “no, non mi sono iscritto a nessun partito,per me il discorso collettivo abbraccia sei, sette persone al massimo”.


Peppe H., Peppe D., Danilo


venerdì 20 febbraio 2009

I rampanti anni '80

Le canzoni impegnate degli anni '70 lasciano il posto a brani meno politici e più irriverenti. La musica melodica continua a raccogliere consensi. Esplode il fenomeno della musica pop e si inizia a far largo uso di basi elettroniche. Come abbiamo visto, inizia anche la grande produzione di musica dance, che verrà definita italo-disco. Questa è l'Italia degli anni '80 e la sua musica. E noi è qui che restiamo, perchè le cose da scoprire sono ancora molte.
Lasciamo definitivamente alle nostre spalle la italo-disco. Continuiamo a dar voce al mondo femminile, con una cantante, che non vede certo il suo esordio in questi anni. Parliamo di Nada Malanima, meglio conosciuta come Nada. La sua carriera come cantante e cantautrice inizia nel 1969. Chi non ricorda Ma che freddo fa o Il cuore è uno zingaro? Ma noi vogliamo parlare degli anni '80.
Nel 1983, il pulcino di Gabbro, così viene definita per la giovanissima età in cui iniziò a cantare, passa alla EMI ed esce l'album Smalto. Il brano trainante è il racconto di un ... Amore Disperato, che diventa immediatamente uno dei maggiori successi, rimanendo per molte settimane ai primi posti della hit-parade. Ma tutto questo non basta e dunque arrivano anche le vittorie al Festivalbar, Azzurro e Vota la voce (dove sarà premiata come migliore cantante donna dell'anno).
Qualche curiosità: nel 1998, i Super B eseguono una cover di Amore Disperato, che avrà un discreto successo radiofonico (http://www.youtube.com/watch?v=VIeKIlN5ElA).
Ricordate la scena finale di Mio fratello è figlio unico? Il film di Daniele Lucchetti si chiude proprio tra il rumore delle onde e sulle note di Amore Disperato.

Insomma, chi non ha mai provato quella sensazione stranissima ed inspiegabile di struggente inquietudine, di trepidazione, che accompagna il desiderio di rivedere e rincontrare ''l'amore'' malinconicamente, ma serenamente disperato?
A tutti i romantici o nostalgici dello Shout. A giovedì prossimo.
Giulia.


giovedì 19 febbraio 2009

Ready Steady Rock! presenta Born Ruffians

Questa settimana la nostra rubrica musicale ci porta a Toronto, dove fare la conoscenza con i Born Ruffians, gruppo nel 2004. E proprio nella città canadese cominciano a farsi conoscere attraverso esibizioni dal vivo, ma è soprattutto grazie all'interesse suscitato tramite internet che fa loro attirare le attenzioni delle case discografiche e in particolare l'inglese Warp Records che li mette sotto contratto. Nel 2006 esce il primo EP omonimo che li porta ad avere un certo successo nelle radio canadesi; nel 2008 esce il primo disco completo dal titolo Red, Yellow & Blue: i richiami sono ai Pixies, Clap Your Hands e i Modest Mouse in particolare. La loro musica dà un senso di freschezza e semplicità, dove i pezzi sono caratterizzati dal cantato veloce (a volte poco comprensibile) e dalla musica vorticosa che si lanciano in picchi spesso volutamente irrisolti.
Buona la prima, ora aspettiamo per vedere cosa ci riservano in futuro i Born Ruffians.
A giovedì prossimo,
Sergio

mercoledì 18 febbraio 2009

I rampanti anni '80

Indossate il vostro bikini più sexy, perchè questa settimana si va in piscina a caccia di ''boys''. Con chi? Ovviamente, con la formosa Sabrina Salerno, sex symbol ed icona degli anni '80, che di certo non passa inosservata con quel suo costumino bianco in equilibrio precario. Ma andiamo con ordine. Nelle precedenti settimane, ci siamo interessati al fenomeno della italo-disco ed abbiamo voluto ricordare alcuni tra i maggiori cantanti, che hanno contribuito alla diffusione di questo genere in tutto il mondo. Ora, la italo-disco si tinge di rosa.
La cantante, showgirl ed attrice italiana, fra il 1986 ed il 1987, pubblica l'album d'esordio, ''Sabrina'', che contiene numerose cover e brani nuovi, che diventeranno grandi successi internazionali. Boys (Summertime Love) rientra proprio tra questi e conquista addirittura la terza posizione, nella classifica inglese.
Come già detto, le sue canzoni sono in puro stile italo-disco, ma sempre accompagnate da maliziosi video, che esaltano le sue forme mediterranee. Del resto, stiamo parlando di Miss Lido e Miss Liguria, non di una ragazza qualsiasi! Negli ultimi anni, ha partecipato anche lei (come Marton ed altri) a programmi radiofonici dedicati ai nostalgici degli anni '80, ma non ha smesso di cantare. Anzi, torna in scena con un doppio cd (un'antologia dei suoi sucessi e brani inediti).
Ma l'ultima apparizione in tv a quando risale? I fans più sfegatati l'avranno riconosciuta, nella casa del Grande Fratello, ancora incredibilmente sexy.
Giulia.




Dedico questo videoclip a Giugio.

martedì 17 febbraio 2009

Ready Steady Rock! presenta Forward Russia


Questa settimana si parla dei Forward Russia!, nascono a Leeds nel 2004 dopo che il cantante Tom Woodhead e il bassista Rob Canning decidono di staccarsi dai Black Helicopters e così formano il loro nuovo gruppo. Per quasi due anni i Forward Russia! pubblicano solo demo che fanno gridare al miracolo da parte della stampa britannica di settore; il primo disco Give Me a Wall esce nel 2006: in pratica è la raccolta di tutte le demo fatte uscire finora e i richiami sono al post-punk anni 80 (come per molti dei gruppi più recenti). Il loro secondo album intitolato Life Processes esce nel 2008: più maturo e compiuto dove si sente la consistenza di un lavoro pensato come un tutt'uno, vengono meno gli eccessi del primo disco e il gruppo si allontana dalle influenze post-punk creando delle atmosfere più riflessive. I tratti caratteristici dei FR sono la voce del cantante che alterna urli ad acuti che va ad accompagnarsi alla chitarra feroce creando un effetto energico e trascinante per chi ascolta.
I FR hanno dimostrato di saperci fare e da loro ci si aspetta di più, ma purtroppo ad ottobre del 2008 hanno suonato insieme per l'ultima volta annunciando un periodo di pausa indeterminato.
A giovedì prossimo,
Sergio.

sabato 14 febbraio 2009

Voglia di pioggia

Il Bombarolo


Il nostro impiegato aveva quindi fatto fuori tutti i vecchi del potere prendendo così, sotto l’invito del potere stesso che l’osservava "dal primo battere del suo cuore fino ai ritmi più brevi della sua ultima emozione", il posto del padre. Ma non era il sogno che si era immaginato da sempre. Non era un "sogno di quelli che non fanno svegliare". Si svegliava e come, il nostro impiegato, e sempre si svegliava sudato come a dire una paura, una sottomissione. La sua sete di potere aveva bevuto un’acqua insipida di verità, saporita solo di illusione e di inganno. Il potere ancora lo manovrava, con i suoi fili di catena, come una marionetta senza respiro. Allora rivolgendosi a chi lo aveva ingannato si esprime così:

Vostro Onore, sei un figlio di troia,
mi sveglio ancora e mi sveglio sudato,
ora aspettami fuori dal sogno
ci vedremo davvero,
io ricomincio da capo.

Finiva così la canzone del padre ascoltata la settimana scorsa. Il nostro impiegato traghetta su un fiume di vendetta individualistica dal sogno alla realtà. Su questo piano il gioco impallidisce e il sogno sfuma in azioni che si colorano di concretezza. La bomba ora è di tritolo e il potere sono uomini in carne ed ossa. Non si scherza più e bisogna fare attenzione a scendere le scale imbottiti di esplosivo.
Nell'assenza di destino e di prospettiva, matura l'idea dell'auto-affermazione di sé, su un piano integralmente e fatalmente individuale (“se non del tutto giusto/quasi niente sbagliato”), attraverso la predisposizione di un ordigno e l'organizzazione di un attentato che colpisca al cuore lo Stato e riduca in macerie i palazzi di quel Potere oppressore, ormai vituperato (si ritrova a “ridere/davanti al Parlamento/aspettando l'esplosione/che provasse il suo talento” ). Lo attende però un fallimento che colora l'intera vicenda di grottesco: a saltare in aria, al momento decisivo, è un'edicola. Nello strazio finale gli par di scorgere il viso dell'amata che lo ha abbandonato: è il preludio, nell'ottica del concept-album, al pezzo successivo: Verranno a chiederti del nostro amore.
Nel suo tentativo di auto-determinarsi e soprattutto di demarcarsi dagli altri (“io son d'un'altra razza”, “io son d'un altro avviso”, “ho scelto un'altra scuola”), l'impiegato tenta dunque la strada di una insurrezione individuale, destinata ad un fallimento inevitabile, e come tale probabilmente percepito dallo stesso protagonista, nel definire la propria bomba “Pinocchio fragile”. È il segno di una penosa solitudine, che ritorna nelle ultime righe del testo, condanna di ciascuno in una società finta e costruita per motivi altri rispetto a quello di mettere insieme degli uomini e lasciare che nell'amore condividano le proprie individualità. Lo scenario spettrale in cui si muove l'impiegato bombarolo, incrociando fantasmi disfatti che vagano per strade grigie, cariche di suggestione ed inquietudine (“c'è chi aspetta la pioggia/per non piangere da solo”), è la sublimazione di questo paradosso. Il Potere che astringe gli uomini e ne soffoca le vite, governandoli e svuotandoli di umanità, secondo i propri fini, è metaforico destinatario di questa violenza infruttuosa (“vengo a restituirti/un po' del tuo terrore,/ del tuo disordine,/ del tuo rumore”), intrinsecamente infruttuosa, perchè si illude di utilizzare gli stessi strumenti di morte e prevaricazione senza asservirsi alle sue logiche, senza trasfigurare essa stessa in Potere, minore ma egualmente oppressivo nella sua capacità di ammorbare gli animi diffondendovi il terrore. Neppure vengono risparmiate, e questo è un passaggio particolarmente significativo, critiche vibranti agli imbelli intellettuali (“idioti di domani”), che irretiscono le menti e ottundono la potenzialità di cambiamento. Nel loro predicare vuoto non c'è futuro né speranza, non c'è possibilità di rivoluzionare il tragico circostante, ma solo la minima aspirazione cui possono consacrare la loro azione, o meglio la loro inazione fatta di parole e controllo: quella di sostituirsi al potere come nuovo Potere, o di vedersi accordato il privilegio di insinuarsi tra i suoi ranghi, come rinnovati e fedelissimi Soci Vitalizi.

Peppe D.- Danilo

lunedì 9 febbraio 2009

Ready Steady Rock! presenta MGMT


Il gruppo che vi propongo questa settimana è il duo americano Andrew VanWyngarde e Ben Goldwasser meglio conosciuti come MGMT. I due si sono conosciuti all'università nel 2002, dove passano il tempo a scambiarsi idee sulle loro preferenze musicali e da qui nasce l'idea di formare un gruppo: per circa tre anni si esibiscono come The Management, pubblicando anche un disco intitolato Climbing to New Lows dove la musica elettronica la fa da padrona. In questi anni vengono notati nell'ambiente musicale e dopo poco tempo vengono messi sotto contratto dalla Columbia e nel 2007 pubblicano il loro primo disco sotto la nuova ragione sociale (MGMT è solo un'abbreviazione di The Managment) dal titolo Oracular Spectacular. Il disco non raggiunge da subito le vette delle classifiche per quanto riguarda le vendite, ma con la spinta dei giornali di settori il pubblico comincia a scoprirli prima in Gran Bretagna e poi un po' in giro nel mondo.
Le ispirazioni sono soprattutto alla musica anni 70 alternando la dance, al folk e alla psichedelia e richiamando alla mente i Flaming Lips, i capisaldi dell'electro-pop. Il disco non conquista al primo ascolto: bisogna riascoltarlo e lasciarlo maturare per poter capire che i due ragazzi del Connecticut sono riusciti a destreggiarsi al meglio in quello che potrebbe sembrare un guazzabuglio di richiamo alla disco, regalandoci spesso e volentieri delle perle di genialità.
Curiosità: il disco Oracular Spectacular è uscito prima in formato digitale su internet e solo circa tre mesi dopo è approdato nei negozi musicali nei formati canonici.
Sergio

venerdì 6 febbraio 2009

Voglia di pioggia

La Canzone del Padre

Dal mediterraneo di Creuza de ma, a ritroso, andiamo al 1973, anno in cui De Andrè pubblica il concept album "Storia di un impiegato". Erano passati cinque anni dalle proteste del '68. Qualcuno all'epoca della contestazione criticò De Andrè per il fatto di essere rimasto silente e di non aver trattato nulla di quell'anno caldo. In realtà le critiche erano assolutamente insensate, visto che proprio in quegli anni esce "La buona novella" che di rivoluzionario ha molto: l'amore, quello tutto umano, come strumento di sviluppo sociale. In ogni caso nel '73 scrive "Storia di un impiegato" riprendendo anche la questione del '68. "L'idea, dice De Andrè, era quella di dare del Sessantotto una lettura poetica, ne venne fuori però un disco politico". Questo, non piaceva tanto a De Andrè, sempre schivo nei confronti dei movimenti politici e delle organizzazioni allargate dove cresce a volte il germe della violenza.
Protagonista del disco è un impiegato. "Un colletto bianco", dice De Andrè, che non appartiene a nessuna classe, non al capitalismo non al proletariato. In una delle sue giornate uguali ascolta una canzone ("La canzone del Maggio") che lo riporta indietro agli anni delle contestazioni studentesche del Sessantotto. In quel momento il nostro impiegato si riconosce nei panni che da sempre vestiva, sporchi ormai di obbedienza e sottomissione, fradici degli ordini provenienti dai vertici della scala sociale. Si chiede: "dov'ero io in quegli anni?" . Dice a sè: " (...) e io contavo i denti ai francobolli dicevo "grazie a dio" "buon natale"mi sentivo normale eppure i miei trent'anni erano pochi più dei loro ma non importa adesso torno al lavoro". Il nostro impiegato si sentiva normale con la sua paura di non tornare a lavoro. Ascoltando la Canzone del Maggio, però, qualcosa nella sua testa era scoppiata, la "Bomba in testa". Inizia così a sognare. Sogna di autoinvitarsi a un "Ballo mascherato", dove ci sono tutte le facce del potere a cominciare dal padre e lì con un atto individualistico sogna di portare una bomba e far fuori tutti. Fa fuori tutti, tutti i vecchi del potere, compreso il padre.
La Canzone del padre costituisce la chiave di volta dell'intero progetto di "Storia di un Impiegato". Il nostro protagonista é inquieto. Ha fino ad oggi fatto una scelta di partecipazione di una collettività eterodiretta: è un impiegato e "casa e famiglia danno rendite sicure". In sogno avviene l'epifania di quanto lo tormenta: è il Padre, il vecchio regime, l'autorità e per estensione il potere. Come fare allora ad autodeterminarsi? Il pensiero primario è l'edipica uccisione del padre e l'autoinvestitura sul trono del potere da cui governare i più lontani dalle logiche del comando (le piccole barche dirigile al fiume) e quanti già se ne cibano ("le più grandi sanno già dove andare"). Ma è una mera illiusione, è "un sogno che non fa svegliare": tutto ciò corrisponde alla esigenza di autoperpetuazione del potere. C'è una ragione superiore che risponde alle sue regole e che fa degli individui strumenti utili a che si garantisca questa continuità. Per il nostro protragonista tuttavia la tentazione è forte. C'è un vuoto di potere e non vorrebbe finire come il compagno Berto, ancora non staccatosi dal legame primario con la madre. Escluso dalla logica del potere Berto rimane ai margini della società borghese e tanto più si tiene lontano da un confronto con Dio, il potere, tanto più emerge il senso della sua alienazione, cioè la condizione di individuo agìto, di uno che si "lascia piovere addosso". Allora scattano gli incubi della degenerazione della vita coniugale ridotta ad una pratica d'ufficio ("si discute l'amore") e il fallimento stesso del ruolo paterno. Tutto questo non è sostenibile dal nostro protagonista: bisogna fare nuovamente centro su se stessi ed è una dichiarazione di guerra ai palazzi del potere che avrà degli esiti esplosivi.
Peppe D., Peppe H.

I rampanti anni '80

Questa settimana, torniamo ad occuparci della italo-disco e dei suoi suoni e giochi elettronici.
Vi ricorda qualcosa il nome Mr Basic? E se vi dicessi Aleksandar Marton?
Insomma, ricordate o no il mitico Sandy? Capelli biondi, lunghi ed indomabili, miete successi e fa strage di cuori tra le teenagers, nell'estate del 1984.
Scoperto dal talent-scout Claudio Cecchetto nel 1983 in una discoteca milanese, con il nome di Sandy Marton, il cantante spagnolo di origini croate calca le scene del Festivalbar, nel 1984, e raggiunge il successo con People from Ibiza. Cecchetto fonda così la casa di produzione Marton Corporation e l'etichetta discografica Ibiza Records. Con la sua tastierona a tracolla, Sandy rientra nella categoria meteore degli anni '80. Infatti, dopo la sua estate di gloria e qualche altro pezzo, che comunque nn raggiungerà la popolarità di People from Ibiza, si dedica al mondo della tv. Inizia così a realizzare piccoli scoop per la trasmissione meteore. Famosa è l'intervista a Bettino Craxi, durante la sua latitanza in Tunisia, nella quale il nostro artista dal look esotico dirà: "Presidente devo dire che io non vi conoscevo personalmente, ora che l'ho conosciuta io la trovo una persona molto intelligente, sa lei negli anni '80 era il presidente del consiglio, io ero solo un cantante rock, un cazzone ... ''. Nel 2005, lo ritroviamo tra i naufraghi dell'Isola dei Famosi e nel 2008, aderisce a progetti radiofonici dedicati a tutti gli appassionati degli anni '80.
Alcune curiosità: People from Ibiza fu talmente popolare che l'ente locale per la promozione turistica di Ibiza stessa la utilizzò. Elio e le storie tese, insieme a Jovanotti, fanno di Sandy Marton il protagonista della canzone-omaggio Baffo Natale (http://www.youtube.com/watch?v=e4hAnth1afA), nella quale sono citati anche altri artisti scoperti da Cecchetto negli anni '80.
I brani interpretati da Marton si contraddistinguono per la loro leggerezza e disimpegno e sono tutti ballabili. Subito dopo il successo di People From Ibiza, prima ancora di intraprendere la carriera televisiva, Marton si trasferisce proprio in terra iberica, dove apre una discoteca.

Se in queste giornate grigie e piovose avvertite la nostalgia dell'estate, gustatevi un cono al gusto puffo e canticchiate con noi ... ''People from ibiza people from ibiza, boys from wonderland dancing on the sand, people from ibiza people from ibiza, girls from wonderland'' ... Gli anni '80 vi rinnovano l'appuntamento a giovedì prossimo, sulle frequenze dello Shout.
Giulia.

mercoledì 4 febbraio 2009

Voglia di pioggia

Anche in questo caso, per una migliole lettura, vi propongo il testo di Creuza de ma in traduzione
Peppe H.

MULATTIERA DI MARE

Ombre di facce facce di marinai
da dove venite dov'è che andate
da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola

e a montare l'asino c'è rimasto Dio
il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido
usciamo dal mare per asciugare le ossa dall'Andrea
alla fontana dei colombi nella casa di pietra.

E nella casa di pietra chi ci sarà
nella casa dell'Andrea che non è marinaio
gente di Lugano facce da tagliaborse
quelli che della spigola preferiscono l'ala

ragazze di famiglia, odore di buono
che puoi guardarle senza preservativo.


E a queste pance vuote cosa gli darà
cosa da bere, cosa da mangiare
frittura di pesciolini, bianco di Portofino
cervella di agnello nello stesso vino

lasagne da tagliare ai quattro sughi
pasticcio in agrodolce di lepre di tegole.


E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi negli occhi
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze

padrone della corda marcia d'acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare.

Voglia di pioggia

Creuza de ma
Si parlava nella precedente puntata di una ospitalità linguistica, di un incontro con l’altro, con la parola dell’altro. Ci si schiudeva d’innanzi la possibilità di costituire la nostra identità a partire dal diverso o anche dallo straniero. Lo straniero che si accoglie e non si scaccia. La grande ospitalità di Creuza de ma non si rivolge però solo alla lingua. C’è un altro motivo di accoglienza che non tocca la lingua ma il linguaggio: quello dei suoni. “ Ombre di facce, facce di marinai, da dove venite dov’è che andate da un posto dove la luna si mostra nuda e la notte ci ha puntato il coltello alla gola.” Come dire i suoni di questi incontri di facce che si chiedono da “dove venite dov’è che andate”. La scelta musicale di De Andrè si rivolge anche questa volta ad una minoranza. Minoranza di suoni emarginati, lontani da quelli che le nostre orecchie sono abituate a sentire. De Andrè prende dal ricco teatro della musica popolare ed etnica. Suoni di popolo, voci di gente. Accoglie canti, sonorità e lo fa utilizzando strumenti presi dalla musica etnica. Ecco che insieme alle parole i suoni ci conducono al viaggio, nella sua dimensione, tra la gente, il mare e i suoi marinai. Vengono così a noi le voci da lontano i suoni dell’incontro, del distacco, dell’attesa e del ritorno. Come la passione travolgente delle labbra di uva spina di Jamina. Quasi un premio al sudato sforzo del marinaio che dopo tanto navigare approda nell’umido dolce del miele dell’alveare di Jamina, conservando l’ultimo respiro per uscir vivo dal nodo delle sue gambe.
La Liguria fa del mare la sua estensione fluida. Creuza de ma, piccola via che scende dai monti al mare, non è solo il senso di uno sforzo di autoadattamento e radicamento, ma è l'inizio di un percorso che si inoltra in mare e la stretta creuza diventa una strada fluida e sterminata, come sterminate sono le possibilità di incontro una volta raggiunto un nuovo porto, e fluidi i linguaggi culturali che si determinano dall'incontro. In mezzo, il mare: momento transitorio, il luogo in cui il seme della diversità è ancora tenuto stretto nel pugno, luogo popolato di anime invisibili, aspettative e ricordi di chi ha lasciato e si appresta a raggiungere.
Il porto ha in sè il senso della transitorietà e sono proprio gli abitanti del porto gli eroi di Creuza de ma: spiriti genuini proprio perchè vivono la transitorietà, anime "essenziali", le più rare, tali perchè più vicine agli elementi primari della terra e dell'acqua, ma non completamente immersi solo nell'una o nell'altra. I cittadini del porto non hanno ancora facce, sono infatti "ombre di facce", che si concedono alla vita in maniera totale, essendosi cibati costantemente di assenza, per poi sparire di nuovo in mare o, consumata la notte, ritornare all'irta e stretta e nota "creuza de ma", cioè ad una normalità strutturata e forse depauperante.
Peppe D., Carmen Friolo, Peppe H.

Voglia di pioggia

Cari amici, con un pò di ritardo (ma non è mai troppo tardi) vi propongo di seguito il testo in traduzione di Sidun per una migliore lettura.
Peppe H.

SIDONE
Il mio bambino
il mio
labbra grasse al sole
di miele di miele.

Tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell'afa umida
dell'estate
dell'estate
e ora grumo di sangue, orecchie
e denti di latte.

E gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selveggina
finchè il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia.

E dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione.

Perchè di nostro dalla pianura al molo
non possa più crescere albero nè spiga nè figlio.

Ciao bambino mio l'eredità è nascosta in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.

martedì 3 febbraio 2009

Ready Steady Rock! Edizione Speciale


Dopo un silenzio durato quasi 4 anni a livello discografico, sono finalmente tornati i Franz Ferdinand e la band scozzese non si è fatta attendere in vano. Infatti il loro terzo album Tonight: Franz Ferdinand mantiene le promesse e come dice il titolo stesso il tema principale del disco è una notte passata fuori e i suoi effetti il mattino successivo; ciò si rispecchia nei suoni che sono molto più "notturni" di quanto ci avessero abituato sinora i FF, come si sente nel loro primo singolo Ulysses.
Beh, il mio consiglio è ovviamente di ascoltarlo il prima possibile!
Sergio.

domenica 1 febbraio 2009

Ready Steady Rock! presenta British Sea Power


Questa settimana la rubrica musicale ci porta a Brighton, nel Sud dell'Inghilterra, dove hanno sede i British Sea Power, band formatasi nel 2000 da Yan, Noble, Hamilton e Wood (usano solo i cognomi o solo il primo nome per identificarsi). Nella città inglese si esibiscono per un po' di anni in piccoli locali, ottenendo così una base di fan fedelissimi; nel 2003 esce il loro primo album dal titolo The Decline of British Sea Power che li fa subito notare per la loro eccentricità e lo stile eclettico passando da sfuriate punk a canzoni che rendono il loro tributo alla storia del pop colto che ha caratterizzato la scena musicale inglese soprattutto negli anni 80.
Nell'aprile del 2005 esce il loro secondo disco Open Season dove si nota l'abbandono da parte dei BSP di quegli eccessi punkeggianti (che forse rappresentavano i momenti più geniali dell'opera precedente, ndr.) per concentrarsi sulla loro vena pop, il che li porta spesso ad essere accostati a gruppi mitici della storia musicale britannica come Echo and the Bunnymen e The Smiths.
A gennaio del 2008 esce la loro terza produzione discografica intitolata Do You Like Rock Music? nel quale si nota la ricerca di una certa epicità del suono con arrangiamenti orchestrali e maestosi, avvicinandoli a band più contemporanee, in particolar modo gli Arcade Fire; c'è da dire che da un confronto diretto con la band canadese, i BSP ne escono inevitabilmente sconfitti, ma bisogna riconoscere che la band inglese non manchi di spunti pregevoli: la voce del cantante, che a tratti risulta eterea, è unita a delle melodie che quando non cercano di strafare danno un effetto molto coinvolgente e di assoluto valore.
Curiosità: i BSP hanno una base di ammiratori così fedeli che spesso i fan vengono chiamati Third Battalion (terzo battaglione).
A settimana prossima,
Sergio.